Ricorre oggi il quarantesimo anniversario dell'incidente di Vermicino: il 10 giugno 1981 un bimbo di sei anni, Alfredino Rampi, cadde in un pozzo artesiano stretto e profondo rimanendovi intrappolato e si spense tre giorni dopo, essendo falliti tutti i disperati tentativi di salvarlo. Come ricorda oggi Lorenzo Farina...
La tragedia di Vermicino è stata la prima diretta televisiva per un fatto di cronaca, la più lunga della nostra TV. Le ultime 18 ore furono seguite ininterrottamente dalla RAI, con oltre 28 milioni di telespettatori che facevano il tifo per il bambino e per i soccorritori. L'Italia si strinse attorno al pozzo, metaforicamente e fisicamente (accorsero a migliaia), anche Pertini andò sul luogo della tragedia. Le intenzioni del pubblico erano sicuramente delle migliori, spinto dall'amore del voler vedere uscire quel bambino vivo dal pozzo, senza che qualcuno se ne rendesse conto, o forse sì, il virus della morbosità stava però intaccando la televisione. È proprio per la vicenda di Vermicino che viene coniato il termine "TV del dolore", una TV che trasforma la realtà in reality. Un reality grottesco con un microfono calato nel pozzo per far sentire i lamenti del bambino alle persone, le stesse, che quando verrà annunciato il decesso 3 giorni dopo, abbandoneranno subito il terreno circostante il pozzo perché lo show era finito, non c'era più nulla da sapere, Alfredino era ormai morto. Rimarrà in fondo al pozzo per oltre un mese.
All'epoca ero troppo piccola – avevo cinque anni, uno in meno rispetto ad Alfredino – per rendermi conto di cosa stesse accadendo... e meno male, perché probabilmente ne sarei rimasta traumatizzata.
Rievocare quel tragico episodio mi offre lo spunto per riflettere su come, rispetto a quarant'anni fa, siamo molto più bersagliati dalle informazioni. Non c'è più soltanto la televisione, la radio e la stampa: oggi un ruolo tutt'altro che trascurabile lo gioca internet, che ci permette di costruirci il nostro "palinsesto informativo personalizzato" scegliendo le notizie che ci interessano, provenienti dalle fonti che preferiamo, e di rimanere aggiornati praticamente in tempo reale. Ma il rischio è di sentirsi sopraffatti, quasi soffocati dal sovraccarico di informazioni; gli spagnoli hanno coniato l'eloquente neologismo infoxicación, traducibile in italiano come infossicazione: un'intossicazione informativa, insomma. Questo concetto è particolarmente attuale da un anno e mezzo a questa parte, con le notizie riguardanti la pandemia che hanno influito in maniera assai negativa sull'umore collettivo. Ed è facile arrivare al punto in cui si vorrebbe staccare tutto e non pensare più a niente, per cercare di preservare il proprio equilibrio.
[La versione originale di questa vignetta di David Sipress è stata pubblicata sul New Yorker]
P.S.: Il titolo del post è quello di un brano di Filippo Malatesta datato 1994 che a occhio e croce siamo in pochi a ricordare oltre a me e (forse) a lui stesso... Misteri della mente umana!
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