sabato 27 febbraio 2021

Sicuro che non sia un tuo problema?


Molta gente si lamenta perché, a distanza di oltre un anno da quando il coronavirus ha cominciato a dilagare in Italia, non c'è ancora nessuna prospettiva di tornare alla vita di prima. Io capisco che si possa averne abbastanza, anche se il mio personale stile di vita non è cambiato in maniera radicale. Capisco decisamente meno quelli che affermano «Meglio rischiare di prendersi il COVID piuttosto che morire di fame perché l'economia va a rotoli». Sarà che io ho una gran paura di ammalarmi e vedermela brutta... ma ho sempre approvato le restrizioni arrabbiandomi per il mancato rispetto delle regole, e la mia opinione non è cambiata affatto rispetto a mesi fa, quando un lavoro ce l'avevo, anche se successivamente l'ho perso proprio a causa della crisi economica.

Nelle ultime settimane un mio conoscente, un ragazzone poco più giovane di me ma con la maturità di un bambino delle elementari, tra un'immagine di "buongiornissimo" e l'altra – ne condivide su Facebook decine al giorno, una roba allucinante – ha iniziato ad infilare proteste sui provvedimenti di contrasto alla pandemia. Dopo martedì grasso «È finito questo carnevale di m***a dì questo anno che questi porci del governo non ci hanno fatto festeggiare», e oggi addirittura incitava alla disobbedienza civile (quest'ultimo post dopo un po' è sparito). Ahimè, questo genere di idee circola negli ambienti culturalmente meno attrezzati, avendo facile e presa sulle menti semplici, con conseguenze imprevedibili.

Il suddetto aneddoto personale lo ricollego a una favoletta piuttosto istruttiva condivisa su Facebook da una mia compagna di liceo.

Un topolino guardò attraverso un buchino nel muro, e vide il contadino e sua moglie che stavano aprendo un pacchetto. Che cibo ci sarà? Rimase sconvolto nello scoprire che era una trappola per topi. Rifugiandosi nell'aia il topolino lanciò l'allarme: «C'è una trappola per topi in casa, una trappola per topi in casa!».
La gallina chiocciò e raspò, alzò la testa e disse: «Scusami, Signor Topo, capisco che sia una cosa seria per te, ma non mi riguarda. Non mi preoccupa affatto».
Il topolino si rivolse al maiale e gli disse: «C'è una trappola per topi in casa, una trappola per topi in casa!». Il maiale, comprensivo, disse: «Mi dispiace molto, Signor Topo, ma non c'è nulla che io possa fare, eccetto pregare. Ti assicuro che sarai nelle mie preghiere».
Il topolino andò dalla mucca. Lei disse: «Ma guarda, Signor Topo, una trappola per topi. Sono in serio pericolo. Davvero?». Allora il topolino tornò in casa, con la testa bassa, molto scoraggiato, per affrontare da solo la fatidica trappola.
Quella stessa notte si udì un rumore per tutta la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda. La moglie del contadino si precipitò a vedere cosa fosse stato catturato. Nel buio, non vide che era un serpente velenoso con la coda bloccata nella trappola. Il serpente morsicò la moglie del contadino, il quale dovette portarla d'urgenza all'ospedale. La donna tornò a casa con la febbre alta.
Com'è noto, nella cultura contadina la febbre si cura con del brodo di gallina fresco, quindi il contadino portò il suo coltellone nell'aia per procurarsi l'ingrediente principale.
La malattia della moglie però non guariva, e così amici e vicini venivano a farle visita giorno e notte. Per dar loro da mangiare il contadino ammazzò il maiale. 
La moglie del contadino non si riprese. Ad un certo punto morì, e al suo funerale venne così tanta gente che il contadino dovette macellare la mucca per dare da mangiare a tutti.
Quindi, la prossima volta che senti che qualcuno sta affrontando un problema e pensi che la cosa non ti riguardi, ricorda che, quando c'è una trappola per topi in casa, l'intera aia è in pericolo.

Fin qui la traduzione della versione originale inglese, tratta da questa fonte secondo cui l'autore è ignoto. Ma nella versione condivisa dalla mia amica il testo si concludeva così...

[...] quando uno di noi viene colpito, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita.
Prendersi cura gli uni degli altri è un modo per incoraggiarci e sostenerci a vicenda. «Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te».

... e dulcis in fundo, ecco l'attribuzione ad Ernest Hemingway. A questo punto mi sono messa le mani nei capelli: è vero che Hemingway ha scritto il romanzo Per chi suona la campana, ma il titolo è ricavato da un sermone del poeta inglese del '600 John Donne, ed è a quello che si riferisce la citazione finale di cui sopra; lo scrittore statunitense non c'entra assolutamente nulla con la favoletta.

Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.

[Il disegno del topo e della trappola è tratto da Vecteezy]

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