Appena tre giorni fa, a proposito del referendum costituzionale, scrivevo – o meglio pubblicavo, perché il post l'avevo preparato il giorno prima – «comunque vada sarà un successo, perché se non altro stasera a mezzanotte avrà fine una delle campagne elettorali più sgradevoli che io ricordi». Non sapevo quanto mi sbagliavo... non tanto sull'innegabile sgradevolezza della campagna referendaria, quanto sull'uso del termine "successo". Infatti, all'indomani di uno scrutinio che ha visto prevalere nettamente l'opzione scelta anche dalla sottoscritta, mi sento avvilita quasi come se "avessi perso". Matteo Renzi non mi è mai piaciuto granché, pure per quel suo modo di fare presuntuoso di cui ha dato prova anche ieri al seggio a urne ancora apertissime, ma lo trovo senza dubbio migliore della maggior parte di quelli che ora «ballano il disco samba sul carro dei vincitori» (cit. Claudiappì), da Grillo a Salvini, per non parlare di Berlusconi. Quando ho letto che Gianluca Neri si è rivolto a chi come me ha votato no pur essendo di sinistra con le parole «siete voi il nemico, siete voi i nuovi fascisti» – in seguito ha aggiornato il post mettendoci una pezza che è quasi peggiore del buco – mi sono venuti i cinque minuti: sono ben lieta di aver preferito tornare a Pescara per votare piuttosto che contribuire ad infoltire il pubblico di una Festa della Rete ormai in declino.
Il discorso con il quale Renzi ha annunciato le sue dimissioni l'ho apprezzato molto. Il mio non è stato un no alla sua persona – anche se inevitabilmente si è mischiato ai no dei delusi dal governo, dei nostalgici di quando erano i cittadini a eleggere il presidente del consiglio (ma quando mai?!), dei leghisti, dei pentastellati e compagnia NON bella – bensì ai contenuti della riforma; tanto per dirne una, la trovata dei sindaci senatori part-time, nominati non è chiaro da chi e soprattutto secondo quali criteri, non mi andava proprio giù. Vuoi ridurre i costi della politica? Allora prova a tagliare lo stipendio dei parlamentari, o se la cosa non è fattibile perché il Parlamento non voterebbe mai una legge che va così apertamente contro i propri interessi, almeno dimezzane il numero: c'è davvero bisogno di SEICENTOTRENTA deputati?! Uno degli slogan del comitato per il sì era «Se voti no, non cambia nulla», e ogni volta che lo sentivo mi domandavo perché mai questo dovesse essere considerato un fatto negativo: cambiare non è mica auspicabile in ogni caso, a meno che il cambiamento non sia inequivocabilmente per il meglio.
Se c'è un errore che ha commesso il premier in questa circostanza, è stato quello di essersi messo in gioco così tanto per la riforma Boschi, che a mio parere, se anche fosse stata migliore, non rientrava di certo fra le priorità del nostro Paese. È stato lui a trasformare questa consultazione in un referendum pro-o-contro-Renzi, nessun altro.
Concludo linkando un paio di considerazioni sull'esito referendario che trovo piuttosto condivisibili: quella di Natalino Balasso e quella di Emiliano Rubbi.
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