venerdì 18 ottobre 2024

Come percepiamo la realtà

Stasera avrei voluto scrivere qualcosa sugli ultimi due pasticci combinati dal governo di destra-centro: la gestazione per altri proclamata "reato universale" dal Senato e l'imbarazzante esordio dei discussi e costosissimi centri per richiedenti asilo in Albania... ma troppo ci sarebbe da argomentare, del resto ne stanno parlando un po' tutti, e l'unica cosa che riesco a dire adesso io è: CHE DISASTRO.

Comunque mi sembra il momento giusto per condividere dei testi che in qualche modo sono attinenti, perché raccontano la realtà e la maniera in cui le persone possono percepirla.

In ordine cronologico, prima un post pubblicato su Facebook dal mio "facciamico" Antonio Pavolini, esperto di comunicazione digitale...

dopo la paura di essere tagliati fuori dalle discussioni sui trending topics (FOMO, Fear Of Missing Out) e la paura di non aver detto la propria (FOMI, Fear Of Missing In), credo sia giunto il momento di parlare di FOME (Fear of Missing Ego).
Cos'è la FOME? Si tratta della tendenza a commentare qualsiasi fatto solo ed esclusivamente in chiave autoriferita.
Esempi lampanti delle manifestazioni della FOME sono:
Muore una poetessa? Si pubblica una propria foto in compagnia della poetessa estinta, corredata da un aneddoto personale, con l'accortezza che non possa aggiungere nulla di rilevante o già stranoto sulla poetessa in questione.
Si svolge un Festival? Si pubblicano selfie in compagnia dei relatori più famosi, corredati da un testo in cui vengono menzionati rigorosamente con il nome di battesimo.
Esce il remake di un film? Si racconta di quando, vestiti alla marinara, ci si recò al cinema accompagnati da papà (aneddoto imperdibile sul papà) a vedere la versione originale, con un pizzico di scetticismo preventivo sul remake che non fa mai male.
Un amico ottiene un successo professionale? Si scrive un lungo post in cui si elencano tutti i momenti in cui tu (tu, non lui o lei) l'hai aiutato a crederci fino in fondo, corredato da fotogallery di vari momenti davanti a birette/spritz/carbonare travestiti da illuminanti sessioni di mentorship.
Potrei andare avanti a lungo con altri esempi di FOME, sapete benissimo di che patologia sto parlando e già state pensando ad alcuni dei suoi più fulgidi interpreti. Anche perché, come mi confidò Jeremy Rifkin 12 anni fa... [lo portano via]

[L'immagine l'ha creata lo stesso Antonio con l'aiuto dell'AI]

... poi un post pubblicato dal professor Guido Saraceni sul suo blog Due Minuti di Lucidità...

“Se un albero cade nella foresta, ma tu non sei lì a sentirlo, emette un suono?” Questo è ciò che recita un celebre Koan Zen. In base alla nostra mentalità occidentale e scientista, si tratta di una domanda assurda, difficile da comprendere.
“Certo che emette un suono!”. Siamo portati a rispondere, che importanza ha che io sia presente o meno?
In verità, si tratta di una domanda sensatissima e profonda.
Siete così sicuri che la realtà esista anche se non vi coinvolge in prima persona? Vi faccio un esempio. Viviamo in un mondo in cui le guerre, la fame e le epidemie, rappresentano l’inferno quotidiano per milioni di bambini. Tutti lo sappiamo. Cambia davvero qualcosa, per noi? Quel dolore, quella sofferenza, quel lutto, esiste davvero, se accade a migliaia di chilometri di distanza?
Temo di no.
L’etica è un organo di prossimità – insegnava un importante antropologo del XX secolo. Abbiamo la naturale tendenza a preoccuparci solo per le disgrazie che accadono nelle vicinanze, che ci coinvolgono in qualche modo, che ci toccano da vicino.
Per questo motivo possiamo affermare che nel mondo, ogni giorno, crollano fragorosamente intere foreste.
Senza emettere un suono.

... e infine un post pubblicato su Facebook dal politico radicale Alessandro Capriccioli.

LA TRAPPOLA INFAME DELLA “SICUREZZA PERCEPITA”
Mettiamo il caso - come pure è ragionevole ipotizzare che sia successo davvero - che dopo l’affermazione di Trump, secondo cui a Springfield gli haitiani mangiano i cani e i gatti domestici delle persone, alcuni dei residenti nella capitale dell’Illinois abbiano iniziato a vivere in uno stato d’ansia per la sorte dei loro animali.
Sapete come vanno queste cose, no? Fino al giorno prima il signor Smith a momenti non faceva neanche caso se il gatto Fuffi fosse rientrato per la notte, mentre dal giorno dopo qualsiasi assenza dalle mura domestiche che si protragga per più di venti minuti scatena nel poveretto il terrore che il suo felino sia finito nel piatto di qualcuno, cucinato in umido con tanta curcuma e un bel contorno di riso bianco e patate arrosto.
A ben guardare in quelle ventiquattr’ore non è cambiato nulla: non si è verificata una strage di animali domestici, non è stata scoperta una banda dedita al sequestro e alla macellazione dei cani, non sono stati ritrovati i resti di centinaia di gattini spolpati nella discarica della città. Cionondimeno, la vita di una parte della popolazione di Springfield è improvvisamente diventata meno serena, più angosciata, più sensibile al pericolo di quanto fosse stata fino a poche ore prima. Il tutto, sostanzialmente, senza alcuna ragione.
Ecco, quello che avete appena letto è un esempio perfetto di cosa avviene quando si verifica un calo della cosiddetta “sicurezza percepita”: le persone iniziano a sentirsi più insicure di prima pur non essendo successo niente che giustifichi questo nuovo stato d’animo.
Fin qui, direte voi, non c’è granché di cui preoccuparsi. Ma il guaio comincia immediatamente dopo.
Perché, ci avrete fatto caso, da qualche anno la “sicurezza percepita” è uscita dalla dimensione personale, privata e talora patologica delle persone che sarebbe, come dire, la sua collocazione naturale, per entrare trionfalmente (e pubblicamente) a far parte degli elementi attraverso cui vengono decise iniziative politiche, elaborate strategie e finanche adottati provvedimenti legislativi.
Un po’ come se - altra ipotesi tutt’altro che fantasiosa - fra qualche mese, una volta vinte le elezioni, Trump varasse una norma discriminatoria nei confronti degli haitiani residenti a Springfield (un obbligo di firma? Un coprifuoco? La deportazione nel loro paese di origine? Fate voi) per rispondere alla “insicurezza percepita” che la loro presenza ha generato nei cittadini a seguito delle sue stesse affermazioni.
Voi capire bene che si tratta di una trappola infame: prima si induce nelle persone una nuova percezione, del tutto svincolata dalla realtà, e poi si utilizza quella percezione per aumentare il proprio consenso nei loro confronti, generalmente a discapito di altre persone che fungono, loro malgrado, da catalizzatori del processo e da capri espiatori.
Mi pare inutile sottolineare che questa è la strategia utilizzata negli ultimi decenni (in modo, ahimè, abbastanza trasversale) per guadagnare voti a scapito dei migranti, tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente. Ma non è il solo caso. Basti citare il fantasma della demolizione della “famiglia tradizionale” usato a scapito delle persone omosessuali, o quello dell’eugenetica in danno della libertà di scelta dei malati sulla loro vita. Proseguite pure voi, gli esempi sono infiniti.
Ciò che conta è che lo schema è sempre lo stesso: si crea una paura immaginaria legata alla presenza di determinati gruppi di persone e poi si interviene penalizzando quei gruppi di persone per sconfiggerla allo scopo di aumentare il proprio consenso.
Dietro all’invenzione della “sicurezza percepita” c’è tutta questa schifezza.
Ogni volta che sentite qualcuno nominarla, tenete a mente che c’è sotto una fregatura.

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