domenica 23 agosto 2020

Il dolore di chi resta

Mentre riflettevo sul dolore per la perdita di mia madre che non accenna a scemare, o perlomeno lo fa ma con esasperante lentezza – mentre lei, comunque sia fatto l'aldilà, me la immagino in pace e del tutto incurante delle cose terrene – mi è tornata in mente una battuta graffiante e "giusto un pochino" politicamente scorretta, espressa dal comico britannico Ricky Gervais sotto forma di tweet.

Quando sei morto, non sai di essere morto. È doloroso e difficile soltanto per gli altri. Lo stesso vale quando sei stupido.
Il fatto che mi metta a pubblicare battute del genere vuol dire forse che lo sto superando, questo dolore? Per niente: semmai è piuttosto un tentativo di esorcizzarlo, di allontanarlo pur sapendo che tornerà inesorabile ad assalirmi nel momento più inaspettato. Oggi sono trascorsi due mesi esatti da quando, angosciati da quello che avevamo sentito al telefono, io e il mio compagno abbiamo raccolto in fretta e furia quattro cose e ci siamo messi in macchina per Pescara, ma durante il viaggio siamo stati raggiunti dalla notizia che era ormai troppo tardi; ora del decesso 0:35 del 24 giugno, recita gelida e implacabile la cartella clinica che ho voluto farmi rilasciare. E il pensiero delle cose non dette, dei sempre troppo pochi gesti d'affetto dati e ricevuti, mi perseguita.

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