Oggi su Facebook mi sono imbattuta nel link a una notizia pubblicata dal giornale online Open:
Lo schwa (ə) torna in Rai. Il carattere neutro – raffigurato come una “e” rovesciata – è stato utilizzato nei sottotitoli dei Diversity Media Awards, in onda su Rai Uno il primo luglio. Ovvero lo stesso programma che lo scorso anno aveva sdoganato per la prima volta il suo utilizzo. Lo schwa viene spesso definita una «lettera senza genere», nel senso che viene proposta come soluzione per superare il binarismo e includere anche chi non si riconosce né come maschio né come femmina.
I punti chiave dei Diversity Media Awards sono «Premiamo chi racconta le persone e la società in modo inclusivo, permettendo a ciascun* di sentirsi rappresentat*», «Creiamo un impatto mediatico senza precedenti sulla D&I, parlando di diversità a un numero sempre più alto di persone», «Promuoviamo nuovi modelli e linee guida, creando riferimenti per costruire una narrazione più inclusiva», «Realizziamo il primo e unico evento europeo dedicato al valore dell’inclusione, che crea un cambiamento positivo sulla società», ma dopo aver letto i commenti in calce al post summenzionato mi sono resa conto come non mai che... ahimè, ce n'è ancora tanta, di strada da fare.
(Anche se il post è pubblico, ho preferito "pecettare" per pietà nomi e immagini del profilo di chi ha lasciato quei commenti, che sebbene non siano tutti parimenti criticabili credo rendano piuttosto bene l'idea dell'aria che tira in Italia sulla questione)
Se pure tu come me non sei affatto refrattario all'utilizzo dello schwa o scevà – che è un sostantivo maschile, perché è un suono (vocalico), non una lettera – per un linguaggio più inclusivo, ti segnalo che la sociolinguista Vera Gheno ha raccolto in questo post, che lei ha reputato talmente significativo da averlo fissato in alto nella sua bacheca Facebook, fonti utili a chi volesse saperne di più sulla questione.
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