All'epoca delle Olimpiadi di Tokyo 2020, sull'onda delle vittorie di atleti come Marcell Jacobs ed Eseosa Fostine "Fausto" Desalu, si è molto discusso di ius soli sportivo, in pratica una corsia preferenziale dedicata agli sportivi figli di stranieri per ottenere la cittadinanza italiana e gareggiare con la maglia azzurra. Il presidente del CONI Giovanni Malagò ha affermato che «Non riconoscere lo ius soli sportivo è qualcosa di aberrante, folle»... ma dal mio punto di vista l'unica cosa veramente aberrante in questo contesto è che la stessa opportunità non debba essere concessa in egual misura a tutti i figli di stranieri nati e/o cresciuti in Italia e che magari parlano la nostra lingua e conoscono la nostra cultura meglio di tanti "itagliani DOC", anche se non hanno il dono di eccellere in qualche sport.
Di recente, ispirato dalle ultime notizie sportive, Maurizio Crosetti ha scritto per Repubblica un articolo che è dietro paywall, ma ne ho trovato un estratto su Facebook.
Lui è nato in Argentina e non si era mai mosso da lì, ma in tre giorni ha avuto la maglia azzurra per via di un nonno di Canicattì.
Lei è nata in Tunisia, vive in Italia da quando aveva 18 mesi e ha dovuto aspettare fino a 21 anni per ottenere cittadinanza e passaporto: tutti i suoi avi sono infatti tunisini, genitori compresi.
Lui gioca a calcio, si chiama Mateo Retegui, ha 23 anni ed è il nuovo centravanti della Nazionale italiana, anche se l’italiano non lo capisce ancora e non ne conosce neppure una parola.
Lei tira di boxe, si chiama Sirine Chaarabi, ha 23 anni, un bellissimo accento casertano e oggi potrebbe dare all’Italia un titolo mondiale nel pugilato.
Vite parallele, ma quanto diverse.
Colpa di una legge vecchia e ingiusta che ancora parla solo di ius sanguinis, come se il sangue degli antenati fosse un merito, e invece nega lo ius soli, come se essere nati in Italia, avere frequentato le nostre scuole, parlare la nostra lingua non contasse niente.
Ma cosa definisce, nel profondo, un diritto di cittadinanza?
Probabilmente la lingua che si parla, il luogo in cui si cresce, le persone con cui si viene a contatto, la scuola che si frequenta: tutto ciò che forma quanto chiamiamo cultura ed è davvero molte cose insieme.
Non è di tale opinione una legge fuori sintonia rispetto ai tempi.
L'articolo si intitola Retegui e Chaarabi, l'azzurro a due tinte e una legge da cambiare. Il problema è che, se aspettiamo che ci metta mano questa maggioranza, stiamo freschi... :-(
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