mercoledì 30 ottobre 2024

Diamo al bombo quel che è del bombo!

«La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso», recita una delle innumerevoli frasi erroneamente attribuite al grande fisico Albert Einstein. Questa in particolare è molto cara ai motivatori, perché sembrerebbe dimostrare che se non si è consapevoli dei propri limiti, o perlomeno non ci si lascia condizionare da essi, si riescono a compiere imprese che sembrerebbero impossibili.

Lo short video qui sotto pubblicato da Kodami, il progetto editoriale di Fanpage.it dedicato agli animali, dimostra che si tratta più o meno di una leggenda metropolitana.

Ecco la trascrizione della traduzione del parlato.

«Il calabrone non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso». Tra parentesi, qui si parla di calabrone, ma in realtà si fa riferimento proprio al bombo.
1934. Secondo la leggenda, un entomologo francese, Antoine Magnan, applicando a questi insetti le equazioni relative alla resistenza dell'aria, dimostrò che il loro volo sarebbe stato impossibile. Il mistero fu poi risolto poco dopo in ambito accademico, e quei calcoli validi per aerei, però con ali lisce e rigide, non si potevano applicare al volo del bombo, che non solo possiede delle ali a bordo frastagliato, ma le muove in un modo peculiare, cioè questi animali disegnano dei piccoli 8 creando dei mini-vortici in grado di aumentare la portanza, cioè la forza che spinge in aria il peso del bombo. Per giunta le dimensioni dell'insetto rispetto alla viscosità dell'aria riducono la quantità di energia necessaria per mantenersi in volo, e quindi non c'è trucco e non c'è inganno. Il bombo è semplicemente un gioiellino dell'evoluzione.

Probabilmente il video sopra è la versione ridotta di questo più lungo che non ho ancora avuto tempo di guardare per intero, solo che nel primo l'audio è in inglese sottotitolato e nel secondo in italiano.

Qualcosa di analogo lo pubblicò su Facebook tempo fa il professor Vincenzo Giordano, insegnante di matematica.

"La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso". Questa frase attribuita ad Einstein ha in realtà un'origine piuttosto incerta. Intanto l'insetto in questione non è il calabrone ma il bombo (l'equivoco è nato dalla errata traduzione della parola inglese "bumblebee" che si riferisce appunto al "Bombus terrestris"). Secondo le ricerche dell'ingegnere aeronautico J. H. McMasters, la fonte più probabile sarebbe una frase scritta nel 1934 dall'entomologo francese, A. Magnan, nel suo libro "Le Vol des Insectes": "Spinto da ciò che viene fatto nel settore dell'aviazione, ho applicato le leggi della resistenza dell'aria agli insetti e sono arrivato alla conclusione che il loro volo è impossibile". Al di là della paternità della frase, resta il fatto che per tanti anni gli studiosi di aerodinamica hanno cercato inutilmente di capire come potesse riuscire a volare il bombo: in effetti, osservando l'apertura alare dell'insetto in rapporto alla dimensione della "fusoliera", anche un profano si rende conto che le ali sono apparentemente troppo piccole. Poi si è scoperto che le piccole ali di questo insetto tozzo e peloso gli consentono di volare grazie alla turbolenza che generano vorticando, alla viscosità dell'aria e al fatto che non sono lisce come le ali di un aeroplano, ma coperte di rugosità che rendono il moto dell'aria ancora più turbolento, contribuendo così alla portanza.

Comunque, se vogliamo, anche nella spiegazione veritiera dei fatti si può leggere un importante messaggio motivazionale: per quanto si abbiano a disposizione risorse limitate, sfruttandole in modo opportuno si possono ottenere risultati impensabili. :-)

P.S.: A proposito di Einstein, sulla pagina Storie Scientifiche ho letto un aneddoto che sarà anche fake, comunque è notevole.

Probabilmente la leggenda metropolitana più famosa della storia della fisica è quella che vede protagonisti Albert Einstein e il suo autista.
Einstein emigrò negli Stati Uniti nel 1933, accettando il posto di professore al prestigioso Institute for Advanced Study di Princeton. La sua Teoria della Relatività si stava affermando con forza, grazie anche alle prime conferme sperimentali (la più famosa delle quali avvenuta nel 1919). Tuttavia, a quel tempo, la sua immagine non era ancora di dominio pubblico e non tutti erano in grado di riconoscerlo. Negli USA Einstein era chiamato continuamente a tenere conferenze e veniva sballottato da un’università a un’altra. Ma il buon professor Einstein non imparò mai a guidare e gli fu affiancato un autista, Harry. Sebbene Harry non conoscesse la matematica, e ben che meno la fisica, ascoltava assorto ogni conferenza dalle ultime file.
Un giorno, mentre era in viaggio, Einstein si confidò con l’autista, dicendo di essere terribilmente stanco di tenere continue dissertazioni in pubblico. Harry pacatamente rispose: “Professor Einstein, ho ascoltato la sua lezione un centinaio di volte e, anche se non ci capisco un bel niente, sono sicuro di poterla ripetere parola per parola”. All’inizio titubante, il padre della Teoria della Relatività realizzò che nessuno in quell’università lo aveva mai visto e decise di accettare la proposta.
Arrivati nel luogo della conferenza, Einstein si accomodò negli ultimi posti e Harry salì in cattedra. Nel frattempo, un professore si era vantato di essere uno dei maggiori esperti della Relatività; diceva di essere arrivato a una comprensione addirittura più profonda dell’autore e che non vedeva l’ora di porre alcune domande. Harry fu magistrale nell’interpretazione, nessuno si era accorto di niente e la lezione passò via tranquilla. Giunti al termine, dal pubblico il professore un pochino presuntuoso alzò la mano e formulò una domanda alquanto insidiosa, con l’intenzione di mettere in mostra la sua competenza sull’argomento. Harry sussultò un attimo, ma poi si riprese e disse:
“Lei è un bravo studioso ma non riesco a immaginare che qualcuno possa formulare una domanda così semplice. In effetti è talmente tanto semplice che lascerò che sia il mio autista, seduto là in fondo, a rispondere al mio posto.”

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