Uno degli argomenti più discussi in questi giorni è il numero di studenti stranieri nelle classi delle scuole italiane. A tal proposito Giuseppe Valditara, ministro dell'istruzione e del merito (LOL), ha pubblicato un tweet che mi pare si commenti da sé...
Se si è d'accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l'italiano laddove già non lo conoscano bene, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l'arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell'apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate.
È in questa direzione che noi intendiamo muoverci.
[Al riguardo un mio contatto ha scritto che attaccare Valditara sulla forma può dare l'impressione che abbia ragione sulla sostanza, e ha concluso «il che, nel caso specifico, è vero». Siccome ero stanca e non mi andava di polemizzare, ho evitato di scrivergli quanto NON fossi d'accordo]
... seguito da un altro della serie "la toppa è peggio del buco".
Quando si detta un tweet al telefono non si compie un'operazione di rigore linguistico e si è più attenti al contenuto. Chiarito questo faccio notare ai tanti critici dall’indignazione facile, che in queste ore si stanno scatenando nella caccia all'errore, che così facendo ignorano la questione da me posta, evidentemente perché non hanno risposte. Ed invece dalla soluzione del problema della vera integrazione degli stranieri dipende il futuro della nostra comunità nazionale. La scuola italiana che vogliamo è aperta a tutti, ma è profondamente ancorata al suo sistema valoriale.
Non c'è futuro per una comunità che non abbia identità. Il punto vero è questo.
Trascrivo quanto detto al riguardo da Francesco Costa nell'episodio di ieri del suo podcast Morning.
Qualche giorno fa il mio socio di podcast Matteo Bordone ha fatto una puntata del suo podcast Tienimi Bordone, anche quello in esclusiva per voi abbonati al Post attraverso la nostra app, in cui partiva dal personaggio noto di Mister Wolf, quello di Pulp Fiction, quello che risolve problemi, per raccontare invece di come l'atteggiamento base di chi fa politica in Italia non sia «Risolvo problemi», cioè «Mi occupo di quello che c'è e cerco di farlo funzionare meglio», ma sia invece «Evoco principi, dico, parlo di come dovrebbero essere le cose, senza occuparmi di come sono davvero».
E questa cosa sta accadendo proprio in questi giorni con questa discussione sul numero degli studenti stranieri nelle classi delle scuole italiane. È partita da quella scuola di Pioltello che aveva indetto un giorno di chiusura per il Ramadan, ma da lì si è poi allargata, perché prima il ministro Salvini, poi il ministro Valditara hanno detto «Noi vogliamo che in ogni classe non ci siano più del 20% di studenti stranieri». Ieri anche il ministro Valditara ha detto «Nelle aule la maggioranza dei bambini deve essere italiana, lavoriamo in questa direzione».
Ed è interessante questa posizione, perché viene da chiedersi come stanno lavorando: pensano di creare dei bambini italiani, di plasmarli? Non esistono, non ce ne sono abbastanza. Qual è la promessa che fanno Valditara e Salvini? Nessuna promessa, perché non puoi realizzare questa cosa: in molte città italiane, soprattutto nelle zone più sviluppate del paese, gli studenti stranieri in Italia sono più del 20%. A questa frase non si può rispondere «Non sono d'accordo», perché è come dire «Sta piovendo» e uno dice «Non sono d'accordo». Esistono, esistono.
Questo discorso lo facciamo qui per gli studenti, ma è lo stesso discorso per esempio che facciamo per le famiglie omogenitoriali, per la registrazione o no dei figli in comune: «Noi non pensiamo che le famiglie...». Tu puoi pensare quello che vuoi, ma quelle famiglie esistono, e bisogna occuparsi di quelle famiglie, di quella realtà, non della realtà che non c'è. Ma siccome siamo appunto i professionisti della "caciarizzazione", piuttosto che occuparsi di quello che c'è, della realtà, occupiamoci di un paese che non c'è, e ci accontentiamo quindi anche che un politico, un ministro, vada in TV a dire «al massimo il 20% di studenti stranieri» senza dire come.
È una questione di mera redistribuzione? Qualcuno potrebbe pensare di sì. A parte che fai, deporti le persone? Mettiamo pure di scoprire che non sia una questione numerica, ma che sia proprio una questione di redistribuzione: ci sarebbero abbastanza studenti italiani per avere un massimo di 20% di stranieri in ogni classe, ma sono solo distribuiti male. Ce ne sono magari tanti al Nord e pochi al Sud o viceversa. E quindi, qual è la proposta di Valditara? Organizziamo dei treni nazionali ogni giorno? Diciamo a 10, 20, 30, 40, 50 mila famiglie del Nord che devono trasferirsi al Sud o viceversa, perché sennò le classi non sono abbastanza eterogenee? Sarebbe una proposta lunare anche così, ma non ci sono i numeri che permettano una redistribuzione: non ci sono abbastanza bambini italiani per avere davvero l'80% di bambini italiani in ogni classe. Bisogna occuparsi della realtà che c'è.
Tutto questo per darvi, insomma, d'informazione di questa cosa di cui si sta parlando, e darvela anche con un po' di contesto, per segnalarvi quell'episodio di Tienimi Bordone che secondo me era perfetto nello spiegare questo concetto, per aggiungere anche a questo punto un'altra cosa che viene toccata dai giornali negli stessi articoli in cui si occupano di questa faccenda delle classi-ghetto cosiddette, e cioè il ministro Valditara ha annunciato questa proposta con un post scritto sui social, scritto in una lingua che non è esattamente la lingua italiana: «se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l'italiano laddove già non lo conoscano bene, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l'arte». La frase prosegue. Il lessico ha provocato, scrive Repubblica, la reazione ironica degli account di deputati e senatori di opposizione, ma anche di molti utenti che non hanno gradito e gli hanno chiesto «Ministro, va bene, lo riscriva però in italiano». Altri commentano «Un figlio di extracomunitari nato in Italia avrebbe saputo scriverlo meglio».
Merita anche l'articoletto pubblicato oggi da Mattia Feltri per la sua rubrica Buongiorno su La Stampa; la lettura sul sito è riservata agli abbonati, ma per fortuna il suo collega Alessandro Milan ne ha condiviso la foto su Facebook.
A proposito di Patrizia
Voglio parlarvi di Patrizia. Perché temo che si continui a sentenziare su questioni di cui poco si sa. Patrizia è una compagna di classe di mia figlia e l'altra sera, quando sono tornato dal lavoro, era da noi. Si erano impadronite del salotto e io esiliato in cucina. Le sentivo parlare, ridere, ridere molto, dicevano cose come rega' sto nel chill o sembri er matto de' Centocelle, e ridevano ancora. Poi Patrizia se n'è andata ed è una ragazza orientale, ma non ho ripetuto l'errore di qualche anno fa, quando Fabio, un bimbo anch'egli orientale, era venuto a giocare con mio figlio, al quale poi avevo chiesto da dove venisse. Da Roma, mi rispose allibito. Brutta figura che ho già raccontato. A proposito, la migliore amica di mio figlio si chiama Aurora ed è cinese. Ma cinese per noi boomer, o per il passaporto, perché ha fatto qui le elementari, le medie, ora ha cominciato le superiori e parla italiano come un'italiana per il semplice motivo che è italiana, per mille ragioni italiana, eccetto che per la burocrazia. Quando dal governo progettano classi con tetti di stranieri, per evitare che problemi di lingua rallentino le lezioni, parlano di stranieri burocraticamente, un po' scioccamente e un po' ignorantemente. Era un discorso valido forse dieci o quindici anni fa ma oggi, dei quasi 900 mila studenti stranieri delle scuole dell'obbligo, il 67 per cento è nato qui. Dati del ministero dell'Istruzione, caro ministro. Sono nati qui, si chiamano Patrizia, Fabio, Aurora, magari Mohamed o Karima, stanno coi nostri figli, parlano la lingua dei nostri figli, sono esattamente come i nostri figli: italiani. Rassegnatevi.
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