Un paio di mesi fa una mia amica di Facebook, che frequentavo virtualmente dai tempi del FriendFeed, ha pubblicato l'immagine di un uomo fotografato in lontananza a mollo in un mare azzurrissimo, accompagnata dalle parole «Ciao amore mio». Nei commenti lo ha taggato – era pure lui un mio "facciamico" – e solo allora ho capito che i due, che sui social usavano uno pseudonimo e degli avatar al posto delle foto, stavano insieme, e che purtroppo lui era morto; il suo ultimo post risaliva forse al giorno prima, e nulla lasciava presagire quello che sarebbe accaduto (e su cui nulla so).
Qualche settimana dopo ho ricevuto una notifica dall'app Unfriend Finder: all'improvviso lui non figurava più nell'elenco dei miei contatti. L'unica spiegazione possibile era che qualche persona cara, probabilmente la stessa moglie/compagna, avesse preso il controllo del suo account, che in effetti risultava scomparso. Ho pensato che fosse davvero un peccato, dal momento che questa persona condivideva in continuazione immagini talmente interessanti che mi ero salvata nei Segnalibri il link al suo album per sfogliarlo di tanto in tanto. E adesso non posso più farlo. Non mi permetto di sindacare sulla decisione di chi ha eliminato l'account – avrà sicuramente avuto delle validissime ragioni – ma mi limito a confessare che questo ha in qualche modo acuito il mio dispiacere.
Ieri Facebook mi ha ricordato che era il compleanno di un altro "facciamico". Ne parlai qui anni fa all'indomani della sua scomparsa, che mi aveva addolorata moltissimo. Facebook continua ogni anno a notificarmi la ricorrenza, perché l'account è ancora attivo e nessuno lo ha reso commemorativo; ogni volta è un colpo al cuore. I suoi amici – qualche volta l'ho fatto pure io, almeno fino all'anno scorso – gli auguri glieli mandano lo stesso, roba del tipo «Buon compleanno, ovunque tu sia». Ed è una cosa di una bellezza commovente.
Sempre ieri un altro "facciamico" non ancora trentenne, che ho conosciuto ai tempi del corso di fotografia, ha comunicato una notizia straziante: la sua ragazza, ventotto anni non ancora compiuti (ma ne dimostrava persino meno), con la quale stava mettendo su casa, non c'era più. «Hai lottato con tutte le tue forze, ma purtroppo questa malattia è stata più forte», sono alcune delle parole di commiato del fidanzato. A molte persone che conosco la retorica guerresca della malattia come lotta senza quartiere che qualcuno riesce a vincere e qualcun altro no non piace, perché ci leggono il fastidioso e ingeneroso sottotesto che "muore solo chi non ci ha creduto abbastanza". Dal mio punto di vista, invece, che esistano "nemici" troppo forti per poter avere la meglio su di loro, sebbene ce la si metta tutta, è un triste dato di fatto.
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