Pur avendo firmato con convinzione l'estate scorsa per il referendum sull'eutanasia legale, poco tempo dopo scrivevo «Qualora dovesse avere luogo, e vincesse auspicabilmente il sì, ne deriverebbe una modifica del codice penale tutt'altro che adeguata»... per questo non posso dire di essere rimasta delusa più di tanto dalla decisione della Corte Costituzionale di dichiararlo inammissibile; le motivazioni ufficiali sono state rese note l'altroieri.
Il problema è che, se tagliare con l'accetta la legge vigente non era pensabile, perché l'omicidio del consenziente sarebbe stato depenalizzato in maniera assai più estesa e indiscriminata rispetto alle intenzioni degli stessi promotori del referendum, dal Parlamento italiano non mi aspetto di certo che approvi una legge adeguata in materia. Nell'eterna attesa che ciò accada, sostanzialmente rimangono due strade possibili per porre fine a una sofferenza insopportabile; una è quella riservata ai più "fortunati", nel senso di benestanti, i quali potranno andare a farla finita in un Paese come la Svizzera dove la legge consente alle persone con malattie gravi e incurabili una morte volontaria dignitosa. Ma ci sono anche casi estremi, come quello raccontato due settimane fa a Piazzapulita da Stefano Massini: nel 1998 il quarantanovenne Ezio Forzatti fece irruzione, armato di una pistola rivelatasi in seguito scarica, nel reparto di rianimazione dell'ospedale San Gerardo di Monza dove era ricoverata in coma irreversibile sua moglie Elena Moroni, 46 anni, e come ultimo disperato atto d'amore staccò le macchine che la tenevano in vita. Condannato in primo grado a sei anni e sei mesi di reclusione, Forzatti venne assolto in appello "perché il fatto non sussiste".
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