mercoledì 23 ottobre 2019

Una battaglia di civiltà


Quest'oggi ho avuto modo di leggere l'articolo dal titolo Paralympic gold medalist Marieke Vervoort ends her life in Belgium (La medaglia d'oro paralimpica Marieke Vervoort termina la sua vita in Belgio) pubblicato sul sito del Guardian, e ho ritenuto che valesse proprio la pena di tradurlo, soprattutto per via di quei passaggi che ho voluto evidenziare in grassetto.
La paralimpica Marieke Vervoort disse che, per quando fosse arrivato il giorno, aveva già firmato i documenti per l'eutanasia ed era pronta a porre fine alla sua vita. Quel giorno è arrivato martedì nel suo Paese natale, e la sua morte è stata confermata in una dichiarazione della città di Diest.
La Vervoort, 40 anni, ha vinto medaglie d'oro e d'argento nel 2012 alle Paralimpiadi di Londra nella corsa su sedia a rotelle, e altre due medaglie tre anni fa a Rio de Janeiro.
In un'intervista alle Paralimpiadi di Rio, la Vervoort ha spiegato di vivere con un dolore incessante a causa di una patologia spinale incurabile e degenerativa. Ha raccontato che certe notti riusciva a dormire solamente 10 minuti, ha parlato di un forte dolore che faceva svenire gli altri soltanto a guardarla, e ha descritto in dettaglio come lo sport la tenesse in vita.
«È troppo difficile per il mio corpo», ha dichiarato la Vervoort nell'intervista del 2016. «Ad ogni allenamento soffro a causa del dolore. Ad ogni gara per cui mi alleno duramente. Allenarmi, correre e fare competizione sono medicine per me. Mi spingo così tanto in là per spingere letteralmente via la mia paura e tutto il resto».
La Vervoort era una forte sostenitrice del diritto di scegliere l'eutanasia, che è legale in Belgio. Come gli allenamenti duri, ha detto che le ha dato il controllo e ha messo «la mia vita nelle mie mani».
«Ho davvero paura, ma quei documenti (per l'eutanasia) mi danno molta tranquillità perché so che, quando ne avrò abbastanza, li avrò a disposizione», ha dichiarato. «Se non avessi quei documenti, penso che mi sarei già suicidata. Penso che ci saranno meno suicidi quando ogni Paese avrà una legge sull'eutanasia. Spero che tutti vedano che questo non è un omicidio, ma fa vivere le persone più a lungo».
La Vervoort ha anche avuto degli attacchi epilettici, di cui uno nel 2014 mentre stava cucinando la pasta e si è versata dell'acqua bollente sulle gambe. Ciò ha comportato quattro mesi di degenza in ospedale.
Un fedele labrador di nome Zenn ha cominciato a stare con lei, toccandola con la zampa quando stava per avere un attacco. Zenn le ha anche tirato fuori le calze dal cassetto, ha raccontato lei, e l'ha aiutata a portare a casa la spesa quando la Vervoort comprava troppa roba. «Quando sto per avere un attacco epilettico, mi avverte un'ora prima», ha raccontato la Vervoort. «Non so come faccia a sentirlo».
La Vervoort ha confessato di aver continuato a respingere il giorno della sua morte, sapendo che potrebbe arrivare in qualsiasi momento, come può accadere per chiunque. Ha spiegato di poter essere priva di dolore un minuto, ed arrivare quasi a svenire pochi minuti dopo. «Devi vivere giorno per giorno e goderti i piccoli momenti», ha detto. «Tutti domani possono avere un incidente d'auto oppure un infarto e morire. Può essere domani per tutti».
La Vervoort si è autodefinita una «signora pazza». Parlava di volare in un jet da combattimento F-16, di guidare un'auto da rally, e stava curando un museo della sua vita risalente ad almeno 14 anni quando le venne diagnosticata la sua rara malattia. Aveva i capelli a punta e voleva essere ricordata come la signora che «rideva sempre, sorrideva sempre».
«Mi sento diversa riguardo alla morte ora rispetto ad anni fa», ha affermato la Vervoort. Per me penso che la morte sia qualcosa come se ti operano, ti addormenti e non ti svegli più. Per me è qualcosa di pacifico».
A proposito di eutanasia, consiglio di guardare questo video, nel quale l'esponente radicale Marco Cappato commenta la recente sentenza della Corte costituzionale che l'ha assolto dall'accusa di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, in arte DJ Fabo, il quale era rimasto tetraplegico e non vedente in seguito a un incidente stradale, a morire dignitosamente in Svizzera. A me questo sembra un piccolo ma significativo passo avanti verso un'Italia più civile, dove chi è affetto da patologie che ne rendono la vita a suo parere non più degna di essere vissuta abbia il diritto di decidere di morire, e di essere aiutato a farlo nella maniera più indolore possibile, sotto controllo medico, anziché correre il rischio di arrivare per disperazione a porre fine alle proprie sofferenze nei modi più atroci, sempre che ne sia fisicamente in grado. Ovviamente a chi al contrario crede che la (propria) vita vada vissuta sempre e comunque deve essere riconosciuto l'altrettanto sacrosanto diritto ad essere assistito nel migliore dei modi fino all'ultimo.

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