lunedì 30 giugno 2025

Di questo passo a settembre non ci arrivo

Siamo appena alla fine di giugno... e io già non ce la faccio più con questo c***o di caldo!!! Ho trascorso un weekend molto piacevole in compagnia di un'amica che è venuta a trovarmi da Pescara... e sarebbe stato ancora più piacevole, se non mi fossi praticamente disidratata. Sto bevendo acqua in quantità, ma non basta.

Stasera mi limito a condividere due immagini a tema: una rielaborazione della Maria Maddalena in estasi del Caravaggio...

... e il rendering di un letto "ventilato" che con ogni probabilità è semplicemente frutto dell'intelligenza artificiale. Purtroppo, altrimenti vorrei farlo mio per un sonno decente!

Concludo con il link alla campagna "Proteggiamoci dal caldo" promossa dal ministero della salute: il succo è bere molta acqua, evitare di uscire nelle ore più calde, indossare un cappello e abiti leggeri, proteggere anziani, bambini e persone fragili. Insomma, nulla che qualunque persona di buon senso non possa consigliare...

giovedì 26 giugno 2025

Recuperando la mia identità

Negli ultimi tempi mi imbatto spesso in una citazione del filosofo Umberto Galimberti – il quale, salvo quelle rare occasioni in cui gli capita di pestare autentici m***oni, merita di essere ascoltato con attenzione – che sembra rivolta proprio a me.

Quando finisce un amore non soffriamo tanto del congedo dell'altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l'altro ci comunica che non siamo un granché. In gioco non è tanto la relazione, quanto la nostra identità; l'amore è uno stato ove per il tempo in cui siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma la riceviamo dal riconoscimento dell'altro; e quando l'altro se ne va, restiamo senza identità. Ma è nostra la colpa di esserci disimpegnati da noi stessi, di aver fatto dipendere la nostra identità dall'amore dell'altro. E allora, dopo il congedo, il lavoro non è di cercare di recuperare la relazione dell'altro, ma di recuperare quel noi stessi che avevamo affidato all'altro, al suo amore, al suo apprezzamento.

Ed è proprio vero, io in coppia avevo perduto la mia identità, e addirittura ero arrivata al punto di avere timore di dire quello che pensavo e di fare le cose che mi piacciono (il che mi sembra perfino un passo oltre rispetto al quadro dipinto da Galimberti). Invece adesso sto iniziando a capire davvero chi sono, ho scoperto di poter stare bene anche da sola – anzi, sicuramente meglio di prima – e mettendomi alla prova mi rendo conto di essere in grado di raggiungere obiettivi che fino a poco tempo fa ero convinta fossero al di fuori della mia portata. Insomma, la mia consapevolezza di essere una persona buona, perbene e capace ha retto nonostante i ripetuti tentativi di distruggerla. Certo, se due mesi fa, quando pensavo che la mia vita fosse finita, qualcuno mi avesse predetto che oggi avrei scritto quello che sto scrivendo adesso non ci avrei creduto, eppure... :-)

[L'immagine che apre il post l'ha generata ChatGPT a cui avevo semplicemente dato in input la citazione di Galimberti. È senza dubbio migliorabile, ma stasera ho deciso di farmela andar bene così ;-)] 

martedì 24 giugno 2025

La fine di una storia al tempo dei social

La mia ultima più che decennale relazione, nata grazie a – o meglio, per colpa de – i social, non poteva non avere una fine segnata anch'essa dai social.

Il 28 marzo scorso, mentre sfogliavo i ricordi di Facebook, mi sono imbattuta in un post pubblicato un anno prima, quando ero andata con costui al concerto dei Depeche Mode. Rileggere quello che avevo scritto mi ha fatto molto male... e siccome lo avevo taggato, ho deciso di nascondere su Facebook tutti i ricordi in cui era richiamato il suo profilo. (Ma dovrei smettere proprio di guardarli, i ricordi, perché i like, i cuoricini e gli "abbraccini" che metteva ai miei post li vedo ancora, e non mi fa bene)

Il 25 aprile mi è comparsa su Instagram la notifica qui sotto: il soggetto in questione aveva rimosso sé stesso dai "collaboratori" di un mio post. Era un post nel quale l'avevo taggato ringraziandolo amorevolmente per essere andato a prendere le pizze per cena, e poiché risultava taggato il post compariva anche sulla sua timeline, rovinandogli l'immagine di uomo single.

Già, single: perché subito dopo, andando a controllare su Facebook, ho scoperto che la sua situazione sentimentale era cambiata da "convivente con la sottoscritta" a "single".

Essendosi tirato fuori il soggetto con cui convivevo, nel mio profilo risultavo convivente con... non si sa chi. Ovviamente a quel punto anch'io ho impostato la mia situazione sentimentale come "single".

Pochi giorni dopo Amazon mi ha informata via email che uno di noi due aveva lasciato la nostra Amazon Family; siccome io non avevo fatto nulla, non poteva essere stato altri che lui. Un "divorzio virtuale" in piena regola, anche se limitato alla sfera dello shopping online.

Non essendoci più io a ripetergli che non volevo sentir parlare di astrologia, lui ha iniziato a dar libero sfogo al suo interesse per l'argomento; ecco una sua story del 6 maggio scorso.

(Benché gli venisse consigliato di bere due calici di vino per mantenere la calma, lui era pure astemio. Nemmeno la scusa dell'alcol può avere, per essere andato così fuori di testa. Figurati che mi ha detto di essere convinto che io sarei dovuta nascere molto prima del 2 giugno, sotto il segno del toro, oppure molto dopo, sotto il segno del cancro, perché essendo noi due così diversi non potevo essere anch'io dei gemelli come lui. Ma che discorsi sono?!)

Infine, ecco l'ennesima, ma spero tanto sia anche l'ultima, dolorosa mazzata. Oggi era il quinto anniversario della morte di mia mamma, e scorrendo i ricordi di Facebook mi sono trovata davanti questo post che avevo pubblicato quel triste giorno.

Il fatto che il post che avevo condiviso non risulti disponibile implica che l'autore, cioè lui, l'ha eliminato. Purtroppo mi ricordo, sia pur vagamente, quello che aveva scritto... e il fatto che abbia voluto far sparire qualcosa scritto con tanto coinvolgimento (apparente) nei miei confronti mi ha ferita assai. Sorvoliamo su quanto l'opinione che avevo su di lui all'epoca si sia rivelata clamorosamente sbagliata.

[In compenso lo scorso weekend ho cambiato le password dei due aggeggi che uso per controllare da remoto che a casa a Pescara sia tutto a posto, per non permettergli più di accedere e di farsi in qualche modo i fatti miei. Ma magari lui non se ne è manco accorto, perché è assai probabile che avesse già disinstallato le relative app] 

domenica 22 giugno 2025

Sii come Plutone!

Quando andavo a scuola e parecchie nozioni toccava impararle a memoria, ricordo che l'elenco dei pianeti del sistema solare dal più vicino al più lontano dal Sole era: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone.

Ebbene, per chi studia oggi – in verità è così da quasi vent'anni – l'elenco si è accorciato di un elemento; in questo reel l'astrofisico e divulgatore Luca Perri spiega come mai.

Quando abbiamo scoperto Plutone nel 1930 eravamo convinti fosse molto più grande di quello che sappiamo oggi essere, e quindi eravamo convinti fosse più grande di Mercurio. Solo nel 1978 noi abbiamo scoperto Caronte, luna di Plutone, che però in realtà è grande quasi quanto lui, e abbiamo fatto meglio i conti su quelle che erano le dimensioni e le masse in gioco. E ci siamo resi conto che Plutone è piccolissimo, talmente piccolo che è più piccolo di diverse lune del sistema solare, come ad esempio le lune maggiori di Giove, Io, Europa, Ganimede e Callisto, come ad esempio le lune maggiori di Saturno, ad esempio Titano, ma anche della nostra Luna. Quindi Plutone non è più un pianeta, perché a un certo punto ci siamo resi conto che nel sistema solare c'erano tanti corpi grossi più o meno come lui, e quindi o aggiungevamo un sacco di pianeti o toglievamo Plutone; e noi "astrocosi" siamo gente pigra, quindi abbiamo tolto Plutone.

Da notare che in quest'altro video, nel quale Perri tra l'altro sfotte goliardicamente noi ingegneri, egli indossa una maglietta commemorativa del declassamento di Plutone a pianeta nano; qui ad esempio se ne trovano varie versioni.

P.S.: Ecco la traduzione del testo contenuto nell'immagine che apre il post.

Sii come Plutone
Plutone era il nono pianeta del nostro sistema solare, fino al 2006, quando gli scienziati lo hanno rimosso dalla lista. Ma Plutone ha continuato a orbitare attorno al Sole come prima. A Plutone non importa cosa pensano gli altri.

sabato 21 giugno 2025

Davvero la lunghezza delle gonne è inversamente proporzionale alla prosperità economica?

Nella sezione Altri Edamame della sua newsletter Edamame, il 5 giugno scorso, Mattia Marangon accennava che...

L'hemline index [da hemline, "orlo della gonna", NdC] è una teoria (o meglio, un’ipotesi) che suggerisce che la lunghezza delle gonne possa predire l'andamento dell'economia.
Ce ne parla un carosello su TikTok, del perché in tempi di crisi le gonne siano tendenzialmente più lunghe e durante la crescita economica siano più corte.

Ecco la trascrizione del testo, corredata da alcuni screenshot.

Perché la Gen Z tende a prediligere uno stile più "puritano"?
La teoria dell'Hemline Index è un concetto che si lega alla moda e all'economia. L'idea alla base di questa teoria è che i cambiamenti nei modelli di moda, in particolare nella lunghezza delle gonne, riflettano l'andamento dei cicli economici.
Quando l'economia entra in recessione, le gonne tendono a diventare più lunghe. Quando l'economia è in espansione, prosperità e crescita, la lunghezza delle gonne tende ad accorciarsi. Nell'ottimismo e nella fiducia nel futuro, si rende ad essere più audaci e libere, e questo si riflette anche sulla moda. Al contrario, quando l'economia va male, le persone tendono ad adottare uno stile più conservativo e meno rischioso, il che si traduce in gonne più lunghe, come simbolo di una sorta di "ritorno alla prudenza" o di un atteggiamento di contenimento.
Anni '20: il periodo del "flapper style" con gonne corte coincideva con una fase di prosperità economica nel decennio che precedeva la Grande Depressione.
Anni '30: durante la Grande Depressione, la moda ha visto il ritorno di gonne più lunghe e uno stile più casto come riflesso del periodo di difficoltà economiche.
Anni '60: durante il boom economico post-bellico, la minigonna diventò un simbolo di emancipazione femminile e modernità.
Ovviamente questa è solo una teoria perché le mode non sono solo influenzate dall'economia, ma anche da fattori culturali, sociali, politici e tecnologici, quindi non si può considerare una legge universale, ma è interessante vedere come l'economia e la moda possano tradursi come un riflesso di ottimismo o pessimismo nei confronti del futuro.

Tutto molto interessante... peccato che la premessa mi sembri decisamente sbagliata: io questo stile puritano nelle giovanissime non lo noto affatto, anzi. Ne parlavo proprio l'altro giorno con una collega al centro commerciale in pausa pranzo: davanti a noi c'era un gruppetto di ragazzine con short e minigonne vertiginose, e lei ha detto «Meno male che ho due figli maschi, perché se avessi una femmina non sopporterei di vederla andare in giro così». Io ho glissato, non soltanto perché non mi andava di atteggiarmi a bacchettona, ma anche perché ho ripensato all'abitino che comprai per la festa del mio diciottesimo compleanno, e che scatenò un'accesa discussione coi miei genitori che lo consideravano troppo audace. Alla fine raggiungemmo un compromesso: mia madre, che era bravissima con ago e filo, cucì una fodera sotto la gonna per mascherare possibili trasparenze.

Ebbene, quell'abitino, per il valore emotivo che si porta dietro, è sopravvissuto al decluttering che ho effettuato in fase di trasloco, anche se non lo indosso da decenni e sicuramente non lo metterò mai più, perché oramai c'ho un'età! ;-) (Peccato, perché me lo sono provato e, a differenza di altri dei quali mi sono sbarazzata, mi va ancora bene)

Insomma, se la teoria dell'hemline index fosse davvero fondata, se ne dedurrebbe che stiamo attraversando un periodo di grande prosperità e fiducia nel futuro, e non mi pare proprio...

venerdì 20 giugno 2025

Quando l'esercizio del diritto di sciopero mi tange

Per questo weekend avevo in programma da giorni un viaggio a Pescara. Da sola non ci venivo dal 2017, in treno. Anche stavolta avrei dovuto viaggiare in treno, i biglietti li ho acquistati mercoledì della settimana scorsa... ma tre giorni fa ho ricevuto un SMS che mi informava che il mio Frecciarossa Milano-Pescara era stato cancellato causa sciopero generale. Dopo un breve ma intenso momento di panico – e mo' che faccio?! – ho preso al volo un posto sul pullman di FlixBus, che rispetto al treno ha lo svantaggio di impiegare più tempo obbligandomi a chiedere l'intero venerdì di ferie anziché solo mezza giornata, e ho richiesto il rimborso del biglietto del treno già pagato.

E oggi sono partita. Ovviamente alla stazione dei pullman di Lampugnano ci sono dovuta arrivare in macchina sfidando il traffico folle della tangenziale e l'infondato timore che la mia macchinina Euro 4 a benzina non potesse entrare in area B – il parcheggio a pagamento dovrebbe costarmi meno di 20 euro – perché, sempre causa sciopero, non potevo fare affidamento su treni regionali e metropolitane.

Insomma, tutto è bene quel che finisce bene... ma anche se non fosse filato tutto così liscio, non mi permetterei mai di mettere in discussione il sacrosanto diritto di sciopero, peraltro costituzionalmente garantito.

Di fronte all'ennesima agitazione sindacale organizzata di venerdì, c'è sempre chi ciancia di lavoratori che "vogliono fare il weekend lungo", come se i mezzi pubblici non circolassero anche il sabato e la domenica... ma il punto, come ricordato da Pagella Politica, è che «l’obiettivo di uno sciopero è quello di creare disagio e un settore come quello dei trasporti ha più senso che scioperi a ridosso del fine settimana piuttosto che in un giorno in cui avrebbe effetti limitati».

Insomma, ce dovemo sta'! :-)

giovedì 19 giugno 2025

Il gomitolo della vita

Con questa faccenda del trasloco sono rimasta indietro su un sacco di cose: notizie dal mondo, podcast che seguo, newsletter alle quali sono iscritta... Ma pian piano mi sto rimettendo in pari. Ho appena guardato questo video segnalato da Mattia Marangon il 12 giugno scorso nella sua newsletter Edamame. In esso il divulgatore Eugenio Radin, aka @whitewhalecafe, propone alcune interessanti riflessioni sul passare del tempo prendendo spunto dalla malinconia che colpisce tutti noi quando finisce qualcosa di bello.

Ecco la trascrizione del testo.

Sei triste ogni volta che finisce qualcosa di bello? Ascolta Bergson. 
Se quando termina una bella esperienza, una vacanza, ti riempi di malinconia, se ti deprimi al pensiero che quei momenti non torneranno più... Beh, forse dovresti smetterla di pensare al tempo come a qualcosa che passa. 
No, non sono pazzo: mi spiego meglio. Solitamente pensiamo al tempo come a una serie di momenti che si susseguono l'un l'altro lungo una linea retta; c'è il futuro, che ancora non conosciamo, e c'è il passato, un lungo cimitero di momenti perduti che non torneranno mai più. Metaforicamente rappresentiamo il passato alle nostre spalle come un paesaggio che diventerà sempre più piccolo e insignificante... e ti credo che ti viene la tristezza! 
Ma il filosofo francese Henri Bergson ci invita a smettere di guardare al tempo come un qualcosa che passa, e a pensarlo invece come una durata, come un qualcosa che in una qualche forma perdura. Bergson usa l'immagine del gomitolo di lana. Il tempo, proprio come la lana, si raggomitola crescendo e dando origine alla memoria. Quando una vacanza finisce, quando chiudi l'ultima pagina di un bel libro, quel momento non svanisce nel nulla, ma resta, si deposita dentro di te come un nuovo strato della tua durata. Quello che hai vissuto non è qualcosa che hai perso, ma qualcosa che sei diventato. Quei momenti irripetibili non sono dietro di te, sono in te, sono te! E allora dovresti trasformare la malinconia in gratitudine, in un prezioso nodo in più nel gomitolo della tua vita.

Essendo io reduce da una svolta in cui al gomitolo della mia vita si è aggiunto qualcosa di tutt'altro che piacevole, se ne potrebbero trarre delle conclusioni sconfortanti sull'effetto che ciò può aver avuto su di me... e invece credo di essere diventata ugualmente una persona migliore, più consapevole e matura, e di aver dimostrato a me stessa di essere in grado di superare un trauma tanto doloroso quanto inaspettato un po' acciaccata, ma tutto sommato ancora intera!

lunedì 16 giugno 2025

Che fine fanno i soldi del 5x1000

Mentre ascoltavo l'episodio odierno del podcast Morning, la rassegna stampa del Post condotta da Nicola Ghittoni, a un certo punto mi sono girati vorticosamente gli ammennicoli (non che le notizie sconfortanti oggigiorno scarseggino). Riporto la trascrizione, corredata da un paio di link, della parte incriminata.

Visto che stiamo parlando di fisco [si parlava della scadenza dei termini per il versamento dell'acconto IMU... A proposito, te ne sei ricordato, sempre che la cosa ti riguardi? NdC], ne approfitto per recuperare una notizia che il Sole 24 Ore aveva pubblicato venerdì scorso, e sulla quale il Post è ritornato con un approfondimento. Mi aveva interessato molto, mi era dispiaciuto non avere trovato il tempo di darvela venerdì, e se siete distratti come me magari anche voi non eravate a conoscenza di questa notizia. Qual è la notizia? È che i soldi che eventualmente destinate ad associazioni e ad enti attivi nel sociale con il vostro cinque per mille non vanno tutti agli enti e alle associazioni per i quali li avete destinati, o almeno non necessariamente. E questo perché, ed è questa la scoperta che ho fatto, colpevolmente perché è una situazione che va avanti da qualche anno, perché lo Stato Italiano ha imposto un tetto massimo complessivo di soldi che i contribuenti italiani possono donare tramite il cinque per mille. È un tetto di 525 milioni di euro, ma è un tetto che da qualche anno viene regolarmente sforato, anzi ogni anno che passa viene sforato sempre di più, e i soldi in più che superano questo tetto imposto per legge restano allo Stato, e non vanno al destinatario che avete indicato invece con il cinque per mille.
Facciamo un po' di chiarezza. Il cinque per mille è stato introdotto dalla legge di bilancio del 2006 per finanziare le attività socialmente rilevanti; è un meccanismo simile a quello dell'otto per mille, che è previsto per le confessioni religiose, o quello del due per mille, dato ai partiti politici. Ogni anno nella dichiarazione dei redditi i contribuenti possono indicare a chi destinare una parte, il cinque per mille appunto, delle imposte sul reddito, e in questo modo lo Stato rinuncia a una parte delle imposte per donarla alle associazioni sulla base delle scelte precise dei contribuenti. Per devolvere il cinque per mille, chi di voi l'ha fatto lo sa, e siete, siamo sempre di più, per chi non lo avesse mai fatto, l'indicazione è semplice: basta inserire nel riquadro dedicato della propria dichiarazione dei redditi il codice fiscale dell'associazione che si è deciso di sostenere, e poi firmare. Le donazioni dipendono quindi dal numero di persone che effettuano questa scelta, e anche dal loro reddito; naturalmente più alto è il reddito e più la scelta porterà soldi all’associazione. Vi dicevo, il meccanismo è simile a quello dell'otto per mille, con una differenza che però è una differenza non da poco: che mentre la possibilità di donare l'otto per mille a una confessione religiosa non prevede un tetto massimo, beh, quella del cinque per mille lo prevede. Il caso si era già presentato l'anno scorso, quando le donazioni da parte degli italiani erano risultate di 28 milioni di euro superiori a quelle del tetto massimo: 28 milioni di euro persi. I dati pubblicati venerdì scorso dal Sole 24 Ore ci dicono che questo tetto nell'arco del 2024 è stato sforato di quasi 80 milioni di euro: 79 milioni di euro che non sono andati ad associazioni e a enti attive nel sociale, e che rimangono nello Stato nonostante le indicazioni dei cittadini. E visto che questa tendenza in Italia a scegliere di destinare il proprio cinque per mille è in aumento, sono quasi 18 milioni gli italiani che nel 2024 hanno scelto di destinare una quota della propria IRPEF a enti del terzo settore o a enti di ricerca scientifica, il Sole 24 Ore prevede che al prossimo giro lo sforamento sarà ancora più grande: si supererà quota 100 milioni di euro non impiegati.
E allora per questo le associazioni del terzo settore da tempo chiedono che questo tetto venga semplicemente eliminato. Prendo per tutti la posizione che aveva espresso con una lettera aperta al Sole 24 Ore Daniele Finocchiaro, che è il consigliere delegato della fondazione AIRC, l'associazione italiana per la ricerca contro il cancro, che è una delle associazioni più colpite dai limiti imposti da questo tetto statale. Dice Finocchiaro che l'AIRC, che è la prima scelta nel terzo settore da parte dei contribuenti italiani, sono 1,7 milioni gli italiani che hanno deciso nella dichiarazione dei redditi del 2024 di destinare il cinque per mille all'AIRC, a causa del tetto vede mancare all'appello nove milioni di euro che erano stati espressamente scelti dai contribuenti a favore dell'AIRC, e che invece l'AIRC non riuscirà a percepire. E scrive Finocchiaro: «Questi fondi avrebbero potuto significare il raddoppio dell'investimento per borse di studio, portandolo da 5,6 milioni a oltre 11 milioni di euro, e ridurre tagli a progetti meritevoli in assenza di fondi sufficienti». Dice Finocchiaro, e parla per AIRC, ma è la stessa posizione che hanno espresso, sempre sul Sole 24 Ore, anche rappresentanti di Save the Children o di Telethon. «È frustrante vedere crescere la qualità delle domande di finanziamento e non poter investire le risorse che ci sarebbero state destinate per fare una differenza tangibile nei progetti di ricerca di molti scienziati. Riteniamo imprescindibile che il governo dia pieno seguito alla volontà espressa dai contribuenti adottando con urgenza interventi normativi volti a rimuovere l'attuale tetto».

Mi sono girati gli ammennicoli, dicevo, non soltanto perché trovo che questa faccenda del tetto massimo non stia né in cielo né in terra, ma anche perché anch'io sono da anni fra i contribuenti che scelgono di destinare il proprio cinque per mille all'AIRC, un'associazione che reputo meritoria non soltanto perché, egoisticamente, purtroppo il cancro lo conosco fin troppo bene per motivi familiari, ma soprattutto perché vista l'incidenza di queste patologie nella popolazione investire sempre di più sulla ricerca mi pare sacrosanto. Fossi complottista insinuerei che non vogliano farci vivere troppo a lungo, perché il sistema pensionistico collasserebbe...

domenica 15 giugno 2025

I'm back!

Dopo quasi due settimane di pausa causa trasloco e fatiche varie, come posso tornare a scrivere nel blog facendo un rientro memorabile? Impossibile, quindi nemmeno ci provo! :-)

Mi limito a condividere un paio di pensieri sulla mia bella casetta nuova (beh, "mia"... sono in affitto), che è veramente ma veramente piccola, comunque una volta che avrò finito di sistemarla – ebbene sì, non ci sono ancora riuscita – sarà delle dimensioni perfette per quella che, alla mia "teneranda" età, è la mia prima esperienza di vita da sola.

Da Wikipedia...

La frase latina Parva sed apta mihi, tradotta letteralmente, significa "Piccola ma adatta a me".
Si tratta di un'iscrizione posta sulla facciata della propria casa da Ludovico Ariosto quando, nel 1525, tornò dalla Garfagnana, dove era governatore, nella città di Ferrara, presso cui si stabilì definitivamente. La frase completa è "Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non sordida: parta meo sed tamen aere domus" (Casa piccola, ma adatta a me, su cui nessuno può vantare diritti, decorosa e comprata con denaro mio).

Inoltre, tutti o quasi dovrebbero conoscere il detto, che il vocabolario Treccani classifica come proverbio, «casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia» (dove badia sta per abbazia, simbolo di abbondanza e benessere). In realtà, a quanto pare, quella frase altro non è che l'incipit della filastrocca Casa mia di Elda Bossi, tratta dal volume La campanella: letture scelte per la prima classe elementare di Adriana Enriques (Zanichelli, 1948). Il testo completo è

Casa mia, casa mia
per piccina che tu sia
tu mi sembri una badia.
Tutta nitida e ridente,
tutta chiara e risplendente,
non ti manca proprio niente.
Se non hai splendide sale
hai tre vasi al davanzale,
sotto il tetto un frullo d’ale.
E t’allieta un gran tesoro:
il sorriso ed il lavoro
della mia mammina d’oro.

E il pensiero va alla mia, di "mammina d'oro", e mi si stringe il cuore... :'-(

P.S.: L'immagine che apre il post l'ha disegnata per me ChatGPT, e non mi soddisfa più di tanto, ma con la versione gratuita avevo solo altri due tentativi a disposizione entro oggi e ho lasciato perdere. Il mal di schiena non mi dà tregua, perciò me ne vado a nanna!