Nei giorni scorsi si è discusso parecchio riguardo all'uscita a dir poco infelice del direttore editoriale de Il Giornale e consigliere della regione Lombardia Vittorio Feltri, un personaggio in cui la naturale indole a dir poco tagliente e polemica va inesorabilmente degenerando con il rincogl... ehm, con l'invecchiamento: «I ciclisti? Mi piacciono solo quando vengono investiti». Ha provocato l'indignazione di chiunque: appassionati delle due ruote a tutti i livelli, gente che ha visto morire o rimanere gravemente ferita una persona cara investita appunto mentre andava in bici (è il caso del fratello di Michele Scarponi, ciclista professionista travolto e ucciso da un furgone nel 2017 in provincia di Ancona mentre si allenava in preparazione del Giro d'Italia), pure io che in bici ho smesso di andarci non solo perché è faticoso ma anche perché è pericoloso, e sbuffo al volante quando i ciclisti pedalano in mezzo alla strada oppure effettuano manovre imprevedibili costringendomi a rimanere sempre vigile (come del resto è giusto che sia).
Com'è andata a finire poi? Non dico dare le dimissioni da consigliere regionale come richiesto a gran voce da più parti... ma Feltri si sarà scusato, almeno? Macché: «Lungi dall’augurare il decesso ai ciclisti, la mia è stata una battuta forse troppo macabra, per questo fuori luogo, forte, ma ormai non si può più dire nulla, tutto suscita riprovazione. Stiamo lì a pesare ogni sillaba in cerca di una scusa qualsiasi per colpire colui che la pronuncia. Abbiamo acquistato il gusto della indignazione, del processo mediatico, della macellazione. È il trionfo di un moralismo esasperato, ostentato, intransigente, che non è sintomo di progresso etico, semmai di oscurantismo».
«Non si può più dire nulla»: la frasetta magica con la quale ci si autoassolve dopo aver detto le peggio cose, rifiutando di assumersi le proprie responsabilità ma dando di fatto la colpa a quei "permalosoni" che "si sono sentiti offesi".
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