Per quelli della mia generazione, ma anche quelli un po' più giovani o un po' più anziani, il personaggio letterario e cinematografico del ragionier Ugo Fantozzi rappresenta «Il prototipo del tapino, ovvero la quintessenza della nullità», come lo definì il suo ideatore e interprete Paolo Villaggio. Lo sfigato per antonomasia, in parole povere. Eppure oggi su Facebook mi sono imbattuta nell'immagine qui accanto, che riporta un testo tratto da qui, e mi sono resa conto che la summenzionata immagine di Fantozzi è ben poco in linea con la realtà attuale.
Fantozzi veniva visto come un coglione, ma tutto sommato aveva un lavoro decente con un contratto a tempo indeterminato, una casa di proprietà, un'auto di proprietà, una famiglia che riusciva a mantenere con il suo unico stipendio, un futuro, una pensione, la possibilità di andare un mese all'anno in vacanza, tutte cose che 40 anni fa venivano date per normali mentre oggi rappresentano una specie di conquista.
Un uomo di oggi guarda queste cose e pensa alla sua condizione di precario sottopagato, al mutuo che non finirà mai di pagare, alle relazioni che si consumano in fretta. Ecco che, improvvisamente, viene difficile guardare a Fantozzi con superiorità. E la sua vita non fa più tanto ridere.
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