In questi giorni sui social si è molto discusso dell'articoletto uscito il 1° febbraio a firma di Massimo Gramellini per Il caffè, la rubrica che tiene sul Corriere della Sera, intitolato Un vero classico.
Poche notizie mi rendono pessimista sul futuro come la caduta inarrestabile delle iscrizioni al liceo classico: il prossimo anno lo frequenterà appena il 5,8% degli alunni di terza media che proseguiranno gli studi. Il classico non è nello spirito del tempo, secondo cui la scuola serve solo a trovare lavoro. E poiché si pensa che il mondo di domani avrà più bisogno di tecnici che di umanisti, studiare l’Iliade sembra a molti una perdita di tempo. Avrei parecchio da obiettare su questo punto (fior di economisti e ingegneri provengono dal classico), ma prendiamolo per buono. Però non fin dall’adolescenza, dai.
A quattordici anni nessuno sa ancora chi è: invece di restringergli il campo, bisogna allargarglielo a dismisura. Tutte le passioni della mia vita le ho assaggiate a quell’età, comprese la musica e lo sport, di cui leggevo le cronache sotto il banco durante le lezioni più noiose. Ma erano le cronache di Gianni Brera, uno che sapeva coniugare il racconto della partita con l’epica di Omero. È vero, il classico non ti spiega «come» funziona il mondo, ma in compenso ti abitua a chiederti «perché». A capire le cause delle cose, a snasare il conformismo degli anticonformisti, ad addestrare i sensi e la mente per riuscire a cogliere la bellezza in un tramonto o anche solo in una vetrina. Il classico è come la cyclette: mentre ci stai sopra, fai fatica e ti sembra che non porti da nessuna parte. Ma quando scendi, scopri che ti ha fornito i muscoli per andare dappertutto.
La sottoscritta, avendo frequentato il liceo scientifico che tuttora considero la scelta migliore per me nonché la scuola superiore più completa in assoluto (anche se, ahimè, a meno che tu non prosegua gli studi il mondo del lavoro nella maggior parte dei casi non avrà granché da offrirti), non riesce a valutare la questione con la dovuta obiettività... quindi cedo la parola a Galatea Vaglio, la quale incidentalmente fa l'insegnante di lettere, e all'ultimo post che ha pubblicato nella sua pagina Pillole di Storia.
Io ho fatto il liceo classico, e per soprammercato pure lettere classiche. Per cui, diciamocelo, il latino e il greco, per me non sono materie, sono la mia vita e io sono una classicista fatta e finita. E felicissima di esserlo.
Ma se c’è una cosa che ho sempre odiato, persino quando ero una studente del classico, era quella che io chiamavo la “spocchia da liceo classico”. Cioè il sentirsi sto**** perché si faceva il classico, di per sé, convinti che il greco e il latino fossero come la bacchetta di Harry Potter, e bastasse prendere in mano un Rocci, pure senza aprirlo, per ottenere dei superpoteri. Cioè noi facevamo il classico, e quindi studiavamo latino, greco, filosofia, perciò eravamo ontologicamente superiori agli altri. En passant, ontologicamente è una di quelle parole che impari quando fai il classico.
La stragrande maggioranza dei miei compagni di scuola al classico ci era finita non per il greco o il latino, ma perché i genitori ritenevano che il greco e il latino fossero molto chic, una roba da classe dirigente, come le polo Ralf Laurent e le borse di Luis Vuitton ed Hermes. Difatti molti, non appena hanno scoperto che le borse e le polo se le possono permettere anche gente che ha fatto la quinta elementare a stento, hanno smesso di mandare i figli al classico.
Il punto è che gran parte degli studenti che finiscono al classico (e vale oggi pur per lo scientifico) ci finiscono ancora per questa cosa qui: che ti ci iscrivono perché sei già classe dirigente, o aspiri a diventarlo.
La fregnaccia che esistono materie che ontologicamente ti fanno diventare migliore o scuole (cioè il classico) ontologicamente in grado di forgiare grandi menti è oggettivamente una fregnaccia. Classista, per rimanere in tema di classico.
Il greco di per sé non è migliore o peggiore della fisica, della meccanica, dello spagnolo o persino del cucito. Qualsiasi materia, se fatta con coscienza e studiata come va studiata, può accendere in un individuo l’amore per il sapere, portarlo all’illuminazione che fa riflettere sui grandi temi della vita. Non sono le materie a forgiare gli esseri umani: sono gli esseri umani che riflettendo su ciò che fanno trovano o non trovano la loro via.
Piuttosto che difendere anacronisticamente il liceo classico (che spesso era un luogo classista, crudo, competitivo, discriminante, con venature di inutile sadismo come certe accademie militari in cui spadroneggiano i “nonni”), lasciate che tutti i ragazzi siano liberi di frequentare i corsi che vogliono, siano latino, greco, disegno, filosofia, scultura, storia dell’atletica, fisica, meccatronica, cucina. Che possano sperimentare, formare un loro curriculum unico e particolare, che rispecchi i loro interessi, le loro inclinazioni. Perché magari un ragioniere vorrebbe fare anche un corso di chimica e di filosofia, un bravo cuoco scoprirebbe l’interesse per Cicerone, un meccanico, chissà, si divertirebbe a tradurre il de bello gallico e un matematico a fare l’uncinetto e cucinare.
E piantatela di infervorarvi se avete fatto il classico, o non lo avete fatto. Che non è quello il problema. Il problema è che sarebbe ora e tempo di smettere di considerare il nostro ombelico il centro del mondo, e pretendere che i percorsi rimangano sempre uguali a se stessi, o credere che gli altri possano diventare “intelligenti” solo se hanno alle spalle lo stesso percorso che abbiamo fatto noi. Perché questo non è essere ex studenti del classico, o classicisti: è essere classisti.
E ve lo dice una classicista, eh.
P.S.: Aggiungo una piccola annotazione personale. Ricordo che a Ingegneria il mio docente di Analisi Matematica I, una delle materie più complesse e astratte con cui io abbia mai avuto a che fare, seconda forse solo all'Algebra che avevo imparato a conoscere in quei tre mesi scarsi nei quali ho frequentato la facoltà di Matematica prima di rendermi conto che non era quella la strada giusta per me, rivendicava con un certo orgoglio di aver frequentato il liceo classico. Ne esci con una forma mentis che ti prepara a qualunque sfida intellettuale e che nessun'altra scuola ti può dare, affermava.
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