Quest'oggi mi limito a condividere un paio di spunti parecchio affini riguardo allo stesso argomento: il confronto tra i
migranti che oggi arrivano in Occidente – in Italia in particolare – in cerca di una vita migliore se non addirittura in fuga da morte certa, e gli
italiani che molti decenni fa intrapresero analoghi viaggi della speranza. In rigoroso ordine cronologico, il primo post è di
Matteo Bussola...
Ogni volta che si tocca il tema dell'immigrazione, citando la nostra Storia, saltano fuori gli immancabili buontemponi che sentono la necessità di urlare a gran voce che non si possono paragonare gli immigrati di oggi, quelli che vengono qui, ai nostri emigrati italiani!
E io tutte le volte mi chiedo: perché? Che cosa dà loro così fastidio, nel paragonare la situazione di indigenza e il desiderio di una vita migliore dei nostri bisnonni, nonni, o padri, alle stesse legittime aspirazioni di chi oggi si sposta da altre parti del mondo per gli stessi motivi?
Ti dicono: "Eh, ma gli italiani emigravano regolarmente, con i documenti a posto e col lavoro già assicurato prima di partire!"
Falso.
Ci sono migliaia, milioni di italiani che sono stati immigrati irregolari, che partivano alla sperindio, privi di ogni genere di bene o con valigie di cartone e spesso senza manco le lacrime per piangere, altro che documenti. Infatti venivano registrati all'arrivo talvolta con cognomi storpiati, quando non del tutto inventati, quando non registrati per niente. Come ci sono italiani che per decenni hanno cercato di valicare clandestinamente la frontiera con la Francia, passando a piedi da Ventimiglia o da Bardonecchia, attraversando i passi alpini, venivano catturati dalla gendarmeria francese ogni giorno, e ogni notte ci riprovavano, spesso in mezzo alla neve, centinaia di uomini, donne, bambini.
Ti dicono: "Eh, ma gli italiani erano brava gente, mica andavano a delinquere!"
Falso.
La grande maggioranza erano sicuramente brave persone che cercavano solo un lavoro e una possibilità, ma quando il lavoro non c'era, o non si trovava, e si doveva comunque sopravvivere, si delinqueva eccome, e anche fra gli italiani c'era chi rubava, beveva, stuprava, e per quanto riguarda il nostro contributo alla criminalità basterebbe ricordare che gli italiani sono riusciti a esportare perfino la più grande associazione a delinquere del mondo, ovvero la mafia. Questo significa forse che tutti gli italiani siano mafiosi o ladri? Naturalmente no, e ancora oggi ci offendiamo quando vengono fatte battute su questo, riducendoci allo stereotipo pizza-spaghetti-mandolino-mafia. Allo stesso modo: tutti gli immigrati che arrivano nel nostro paese sono delinquenti? Naturalmente, no. E quando viene posta in essere questa equivalenza dovremmo offenderci allo stesso modo, proprio perché abbiamo subito per decenni lo stesso genere di pregiudizi, quelli che avrebbero dovuto aiutarci a diventare esseri umani migliori e più sensibili alle difficoltà e alle sofferenze altrui, ma si vede che poi qualcosa è andato storto. L'unica cosa che perciò dovremmo dire chiara, in questo senso, è che chi delinque va perseguito a prescindere, sia italiano o straniero o marziano, applicando le leggi che ci sono e senza sciocche generalizzazioni etniche.
Ti dicono: "Eh, ma agli italiani mica regalavano niente, non gli pagavano mica le cene al ristorante o i pernottamenti in albergo!"
Agli immigrati che arrivano oggi nel nostro paese non "regalano" niente, infatti, semplicemente vengono messi in atto i principi minimi di sostegno umanitario, ovvero si cerca di non far morire chi chiede aiuto, chi fugge da guerre o carestie o situazioni di insopportabile miseria, attraverso l'applicazione di elementari condizioni di sussistenza. Si chiamano "strategie di accoglienza" o più banalmente - se preferite - "diritti umani", ed è una cosa che dovremmo tenere a mente, e difendere, proprio perché i nostri nonni non li hanno potuti sperimentare, e perfino perché un giorno, di averne bisogno, potrebbe toccare proprio a noi. Altrimenti ditelo chiaro che quel che volete è solo una contorta forma di rivalsa, o di vendetta. Siccome a mio nonno non hanno dato il lavoro, siccome doveva dormire ai dock del porto in mezzo ai cartoni, siccome gli dicevano che solo in quanto italiano rubava e puzzava e portava le malattie, allora oggi noi dobbiamo fare lo stesso con gli altri, mettere in campo le stesse discriminazioni. La stessa rabbia nei confronti di chi arriva in cerca solo di un po' di speranza.
Ti dicono: "Sciacquatevi la bocca prima di parlare, i nostri nonni emigravano e morivano in miniera, e accettavano di fare perfino i lavori più umili e terribili e venivano trattati come bestie!"
Proprio come gli immigrati di oggi che muoiono a raccogliere pomodori per quattordici ore sotto il sole per un euro e mezzo l'ora, così poi noi possiamo comprarci la passata al supermercato a un euro e mezzo al barattolo, o come quelli che perdono la vita mentre vengono trasportati, stipati come bestie, dentro i cassoni incandescenti di furgoni che poi si rovesciano in autostrada. E, per quanto appaia terribile da dire, questi sono addirittura i più fortunati, quantomeno rispetto a chi muore annegato in mare abbracciato ai propri figli.
Ti dicono: "I nostri emigrati hanno contribuito alla crescita dei paesi in cui sono andati a lavorare!"
Proprio come gli immigrati che sono arrivati in Italia e ai quali è stata data una minima possibilità, quelli che sono oggi i nostri infermieri, le nostre badanti, i nostri operai, i nostri manovali, i nostri tornitori, perfino i nostri medici o ingegneri. Quelli che col loro lavoro stanno pagando le nostre pensioni, proprio le pensioni di chi vorrebbe rispedirli tutti "a casa loro", inconsapevole del fatto che, se davvero, tutti gli immigrati presenti su suolo italiano se ne andassero tutti insieme, l'Italia precipiterebbe nel fallimento.
Perciò, cosa c'è di male a ricordare che noi italiani siamo stati uno dei popoli che è emigrato di più nel mondo, ci siamo spostati in Germania, Francia, Svizzera, Belgio, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Australia e chi più ne ha. E cosa c'è di strano a dire che - sorpresa! - lo facciamo ancora oggi, lo fanno i nostri figli quando se ne vanno all'estero per cercare lavoro o per vedere valorizzate le loro competenze professionali, o il loro percorso di studi, o per poter fare quella ricerca che in questo paese è sempre più utopia. Per poter essere pagati per ciò che sanno fare. O semplicemente per tentare la fortuna cercando un impiego. Quindi: a loro il diritto a una vita migliore lo riconosciamo, ai nostri nonni lo riconoscevamo e ne difendiamo la memoria a spada tratta gridando alla lesa maestà ogni volta che qualcuno si permette di fare parallelismi fra esseri umani che hanno vissuto o vivono le STESSE condizioni di inumana miseria e difficoltà. MA riconosciamo tale diritto solo ai nostri cari, ai nostri connazionali, mentre a tutti gli altri, invece, no.
Perché i nostri emigrati, a quanto pare, erano e sono migliori di tutti, solo in quanto italiani.
Ecco, questo atteggiamento ha un solo nome, e non è una cosa che ha a che fare necessariamente col razzismo, men che meno col patriottismo, ma con qualcosa che viene prima, che ha radici più profonde, e che contraddistingue da sempre chi crede che il "prima noi" significhi fregarsene di tutti gli altri, dando valore solo alle proprie difficoltà, alla propria storia, o alle proprie singole esperienze.
Questa cosa si chiama: ipocrisia.
Non ha niente a che fare con l'onorare la nostra memoria, men che meno con la Storia, ma solo col credersi migliori degli altri.
Mentre invece è la ragione specifica per cui non lo siete, non lo siete mai stati, non lo sarete mai.
... e il secondo, pubblicato meno di un'ora dopo, è di
Emiliano Rubbi.
“Paragonare gli italiani che sono emigrati nel mondo, a cui nessuno regalava niente né pagava pranzi e cene in albergo, ai clandestini che arrivano oggi in Italia è poco rispettoso della verità, della storia e del buon senso"
Ce lo fanno sapere Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, capigruppo alla Camera e al Senato della Lega.
E sostanzialmente si tratta della stessa, identica, idiozia che mi è capitato di leggere mille volte su Facebook.
Allora forse, visto che viene nominata la Storia, bisognerebbe ricordare a tutti un po’ di cosine che abbiano leggermente perso di vista.
Quella degli italiani è stata la migrazione di massa più grande della storia moderna.
Più di ventiquattro MILIONI di italiani, a partire dal 1861, espatriarono in cerca di fortuna.
E anche oggi, con circa 250.000 partenze ogni anno, siamo all’ottavo posto AL MONDO, come paese di emigrazione.
Partono più italiani di quanti immigrati non entrino in Italia ogni anno.
E la nostra è stata (ed è tuttora) una migrazione prettamente ECONOMICA.
Non emigriamo a causa di una guerra o di un dittatore, diversamente da molti altri popoli, emigriamo per andare a cercare lavoro.
Ovvero, per dirla “alla leghista”, per “andare a rubare il lavoro” a svizzeri, inglesi, tedeschi e via dicendo.
La tesi leghista è: “ma gli italiani, quando emigravano in massa, non avevano diritto a nulla, non c’erano i centri di accoglienza, li trattavano come bestie.
E gli italiani andavano a lavorare, mica a bighellonare gratis con l’Iphone in tasca a spese di quelli che li accoglievano o a fare i criminali in giro!”.
E, a parte il trascurabilissimo export di un fenomeno tutto sommato minore e marginale, come la mafia (forse qualcuno di voi l’ha sentita nominare, evidentemente i leghisti no), è vero che i nostri emigranti non trovavano di sicuro delle condizioni favorevoli, spesso, nei paesi in cui approdavano.
Erano oggetto di razzismo (per gli statunitensi e gli australiani noi non eravamo neanche classificabili come “di pelle bianca”, del resto, eravamo “olivastri”) e in molti paesi spuntavano spesso cartelli fuori dai negozi come quello che vedete qui sotto.
Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani.
Gli italiani spesso venivano sfruttati come bassa manovalanza, visto che solitamente erano poco istruiti.
E lavoravano (quelli che non delinquevano, ovviamente) in condizioni precarie, disumane, pericolosissime.
Forse qualcuno ricorda Marcinelle.
Ci sfruttavano, insomma.
Esattamente come gli italiani, oggi, a volte purtroppo sfruttano il lavoro in nero dei migranti africani.
Ma noi eravamo “eroi che si facevano sfruttare pur di mantenere le famiglie”, loro, invece, vanno lasciati “a casa loro”, “perché sennò ci sono i criminali che li sfruttano”.
E se non vengono sfruttati, ci rubano il lavoro.
E se stanno in un centro di accoglienza, non li vogliamo lo stesso, perché li manteniamo.
In pratica, non li vogliamo e basta.
Come gli altri popoli non volevano noi, del resto, se non per sfruttarci.
Altro cavallo di battaglia leghista è: “ma noi eravamo e siamo migranti regolari, questi sono clandestini!”.
Ora, a prescindere dal fatto che, se uno richiede asilo, NON È UN CLANDESTINO, è un richiedente asilo, quello che sfugge a questi geniacci è che, semplicemente, in moltissimi paesi dai quali provengono gli immigrati NON SI PUÒ RICHIEDERE UN VISTO (provate voi ad andare a chiedere un visto per espatriare in Eritrea o in Sudan, poi mi raccontate), in altri paesi, invece, è impossibile ottenerne uno.
Se sei un somalo e vuoi un visto per venire in Italia, puoi rassegnarti sin da subito: nessuno te lo concederà mai.
Non puoi partire regolarmente.
Se vuoi andare in Europa, devi semplicemente salire su un gommone, metterti nelle mani di uno scafista e pregare il tuo Dio di restare vivo.
E ora, vi prego, venitemi a spiegare perché sarebbe “poco rispettoso” paragonare la nostra emigrazione a quella di un qualsiasi altro popolo.
[L'immagine che apre il post è tratta da
Sinapsi Satiriche]
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