Ieri sono andata al cinema a vedere Tutta la vita davanti, il nuovo film di Paolo Virzì, con un ottimo cast: dalla semi-esordiente Isabella Ragonese a Elio Germano (pressoché irriconoscibile con quegli occhialetti), per non parlare dei più noti Sabrina Ferilli, Massimo Ghini e Valerio Mastandrea.
Non è decisamente un film divertente nel senso etimologico del termine, e, pure se è stato classificato sotto il genere "commedia", nella sua autenticità è una delle pellicole più amare che io abbia mai visto: ciononostante, vi consiglio caldamente di andare a vederlo. A me ha fatto particolarmente effetto perché nelle vicende della protagonista Marta mi ci sono riconosciuta non poco: anch'io, dopo una laurea conseguita brillantemente, ho spedito centinaia di curriculum, a volte seguiti da una lettera di risposta del tipo «Al momento non siamo in condizione di dare un seguito positivo alla sua candidatura», e ho sostenuto decine di colloqui che si concludevano con l'immancabile «Le faremo sapere», mentre molti miei compagni di studi (specialmente maschi) riuscivano a trovare degli impieghi di tutto rispetto. A un certo punto ho persino provato a lavorare come telefonista presso una filiale della multinazionale che ha ispirato questo libro, ma, dopo aver fatto due chiamate (due di numero) senza ovviamente riuscire a fissare appuntamenti, ho capito senza ombra di dubbio che quella mansione non faceva per me. Non soltanto ci vuole una parlantina che io non ho... ma non riuscivo a non farmi degli scrupoli di coscienza al pensiero che magari dall'altra parte della cornetta poteva esserci un'anziana signora facilmente abbindolabile.
Nei mesi scorsi il problema del precariato, al centro della trama del film, mi ha riguardata indirettamente, in quanto ha colpito due persone con cui ho oppure avevo a che fare: una psicologa della ASL, che a quasi cinquant'anni aspetta ancora il posto fisso, e un idroterapista che non si è visto rinnovare il contratto di collaborazione con il centro di riabilitazione presso il quale lavorava, a causa del taglio dei fondi alla sanità privata deciso dalla Regione.
In effetti il tema del lavoro precario, che ultimamente ha raggiunto il picco massimo di attenzione in seguito alla famigerata "battutona" del Berlusca, negli ultimi anni ha coinvolto moltissime persone, giovani ma non solo. Mentre mi trovavo in una sala d'attesa, ho sfogliato un vecchio numero del settimanale Panorama. C'era un articolo tendente a dimostrare che non avere un posto fisso non è poi così male. Si intitolava Meglio precari che disoccupati, che in fatto di ovvietà equivale più o meno a dire «Meglio campare a pane e acqua che morire di fame e di sete»...
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